UN DONO DALLA PATAGONIA

Un tiepido pomeriggio di giugno dell’anno passato (2019), ricevetti una strana telefonata da una signora con un forte accento napoletano. La signora ospitava nel suo B&B due argentini che avrebbero voluto visitare il mio laboratorio. I due non riuscivano a contattarmi via Whatsapp e chiesero alla signora se potessi farlo io. Mi diede il numero telefonico e li contattai.

Si trattava di Hector e Mariano Monsalve, padre e figlio, in vacanza in Sicilia dalla lontana Ushuaia, all’estremo sud della Patagonia. Ero stato a Ushuaia diversi anni prima, e l’idea che qualcuno che viveva lì volesse parlare di pipe proprio con me che vivevo dall’altra parte del mondo, mi sembrò talmente inverosimile da sembrare addirittura divertente.

Qualche giorno dopo, Hector e Mariano arrivarono a Palermo in un pomeriggio per loro bollente (27°C). A casa loro era pieno inverno e non c’erano più di 5°C. Hector aveva un bel paio di baffi e un fisico atletico, nonostante avesse passato da un bel po’ i 60 anni, suo figlio Mariano un ragazzone molto socievole e pronto allo scherzo. Hector è un appassionato di pipe e, dato che in Patagonia non c’è l’erica e le spedizioni sono molto costose, costruisce le sue con il legno di un arbusto cileno a cui non siamo riusciti a dare la denominazione botanica. Come sempre faccio quando qualcuno vuole imparare i rudimenti della costruzione di una pipa, comincio a costruirne una, partendo dalla radica fino al bocchino. Naturalmente non la finisco, perché mi piace che questo compito sia lasciato a chi ha, fino ad allora, solo guardato.

Io ed Hector nel mio laboratorio

Fin qui, a parte la provenienza dei due, nulla di strano. Fu quando cominciammo a parlare delle nostre vite che venne fuori il tesoro che si portavano dietro. A cena, davanti a dei calamari fritti, Hector mi raccontò la sua vita ed io ne rimasi affascinato.

Hector è stato un subacqueo professionista, fotografo, pescatore e… guida di Jacques Costeau. Oggi gestisce un’impresa familiare a Ushuaia che fa turismo marino d’avventura. D’un tratto, la sua figura ieratica, bonaria, acquistò un senso. Ecco cosa m’intrigava di lui, avevo colto che non si trattava di una persona qualunque ma di uomo d’altri tempi, un uomo con un bagaglio d’esperienza e saggezza fuori dal comune. Adesso ero io avido di conoscere il più possibile della sua vita, e lui non si negò. Ma preferisco che sia lui a parlare di se stesso traducendo parti di una sua intervista.

(…) Ci tengo a dire che non sono diventato un sub per via di Cousteau. Piuttosto, il mio entusiasmo è nato con uno spettacolo televisivo che, nel 1958/59, Canale 7 trasmetteva a Buenos Aires: “Caza submarina”, chiamato anche “El investigador submarino”, in cui recitava l’attore americano Lloyd Bridges. Alcuni pomeriggi, al momento del latte dopo la scuola, guardavamo quel programma sulla vecchia TV che gentilmente ci aveva ceduto mia nonna Casilda. Casa nostra era uno all’angolo di Calle Alsina Catamarca, in pieno quartiere di Once. Ma non c’era solo Lloyd Bridge, con alcuni amici del quartiere ci riunivamo per seguire le avventure di Mike Nelson, un subacqueo assolutamente eroico che faceva volare la nostra immaginazione. La biblioteca del mio vecchio, poi, esaltava la mia immaginazione. Il “Tesoro de la juventud” e i suoi insegnamenti, e soprattutto una delle fantastiche illustrazioni, qualcosa del tipo: “Mamiferos de Sudamerica”, e quel particolare libro con alcuni dipinti di balene e delfini che nuotano nelle fredde acque del sud. Durante i fine settimana frequentavo la piscina di “Zio Paco”, un grande zio, mondo di pinne, boccagli e maschere “Plaf”, cercando di emulare i polmoni e i movimenti sottomarini dei nostri eroi … immaginando di essere sotto il mare. Le cicatrici delle piaghe che quelle benedette pinne mi hanno lasciato ai piedi !!!!!! Dire che ho quasi dormito con loro non è per niente esagerato. Passarono gli anni, stavo crescendo e posso dire che a quel punto ero già piuttosto bravo, grazie alle mie ore in piscina di “Zio Paco”, nell’uso dell’attrezzatura, anche perché non era più di marca “Plaf”, né così semplice. Adesso avevo una maschera con boccaglio e pinne “Mares”, portati dall’Europa, per noi un vero lusso. Diversi anni dopo, era il 1965 ed ero al secondo anno del liceo Schule cangallo, nella classe di geografia la professoressa Conte ci diede i compiti per la fine settimana: leggere alcuni capitoli del libro: “El mar viviente”, il secondo che Jacques Cousteau aveva scritto. Se per i miei compagni fu un compito arduo, per me, il risultato fu più che ovvio: non solo lessi tutto il libro, ma continuai poi con il primo che Costeau aveva pubblicato: “El mundo del silenzio”.

Lo stesso anno, il caro amico e compagno di scuola Horacio Berisso aveva già iniziato a insegnarmi alcuni rudimenti sulle riprese fotografiche e tecniche in camera oscura. Suo padre, il dottor Horacio Berisso, biochimico di professione, era un notevole fotografo e ricercatore, che già dal 1910 era stato un pioniere della fotografia in Argentina. Fu lui a trasmettermi la passione per quest’attività. Ancora adesso, ogni volta che scendo sott’acqua per scattare foto, Horacio, scomparso troppo presto, e suo padre, sono sempre con me, ovunque si trovino. Nei miei ricordi di allora mi vedo come un adolescente carino, camminando sulla via Viamonte, andando da “Subacuo” di Enrique Alvarez, un vecchio negozio che vendeva attrezzature per immersioni, alcuni vecchi erogatori, bombole realizzate da estintori adattati, arpioni… Ma c’era qualcosa lì che mi rapì: una custodia impermeabile per fotocamera. Forma grossolana, quadrata, ovviamente fatta in casa, realizzata in plexiglass, conteneva una fotocamera di formato 6 X 6 e due obiettivi, come una Rolleiflex. Credo fosse una Zenit. In quegli anni in Argentina le immersioni erano praticate da pochissimi dilettanti, oppure da palombari e militari. Per questo, non fu facile trovare un istruttore. In una delle mie visite periodiche al “Subacuo”, cercando di intrufolarmi nel mondo delle immersioni, venni a sapere del CUBA (Club Universitario Buenos Aires) che teneva corsi di immersione. Era uno dei club pionieri di immersioni nel paese che faceva parte dell’ASES (Agrupación Subatlántica de Expediciones Submarinas). Ricordo di aver ritirato una domanda di registrazione al quartier generale di ASES, credo fosse in via Lavalle. Scoprii con orrore che ero troppo giovane e avrei avuto bisogno dell’autorizzazione di mio padre. Spaventato, ne parlai con lui, ma non ci fu niente da fare. La sua laconica risposta mi trafigge ancora la testa: “quella è una professione per pazzi e ubriachi!”… Nel tempo ho imparato che non aveva tutti i torti, in fondo mio padre era un visionario! In realtà, all’epoca non avevo intenzione di farne un lavoro, ma posso assicurare che mio padre nelle sue decisioni era implacabile.

Comunque, nel frattempo la mia attrezzatura si era evoluta con una maschera “Pinocchio” e delle pinne Rondine della Cressi, portate dall’Italia, e mi esercitavo con immersioni in piscina e in apnea. Poi, nel Febbraio 1970 mio padre mi propose di andare a far visita ai miei zii a Valencia, in Venezuela, dove si erano stabiliti per alcuni anni. Accettai subito! Sapevo che il caro zio Leo aveva una barca e non potevo perdermi l’occasione di conoscere i Caraibi !!!

Ci sono andato, con pinne, maschera e snorkel. Non potevo immaginare che quel viaggio mi avrebbe cambiato la vita… Abbiamo trascorso alcuni giorni di vacanza a casa di Alfredo Domingo e della sua famiglia, amici dei miei zii, sull’isola di Cayo Sal, vicino a Morrocoy, nello stato del Falco. Ricordo la mia felicità nel passare intere giornate facendo snorkeling nei dintorni del Cayo, la trasparenza delle acque era incredibile e gli stili di vita molto curiosi e vari. Uno di quei pomeriggi oziosi, dopo pranzo, mentre camminavo nei dintorni ho scoperto in una piccola rimessa due erogatori appesi a una parete, alcune bombole per immersioni con imbracature a nastro e un piccolo compressore di carico. Il figlio del proprietario della casa mi vide curiosare e si avvicinò. Gli chiesi se quelle “cose” funzionavano. Mi rispose che erano di suo padre, di quando faceva immersioni. Gli chiesi se suo padre potesse farmi immergere con lui: “Certo, gli piacerà farlo!” mi rispose. Lo stesso pomeriggio caricammo d’aria un paio di bombole. Ero euforico e impaziente, negli anni della mia piscina avevo provato a respirare sott’acqua usando lunghi tubi, soffietti per forgia, gonfiatori e persino con sacchi d’aria. Dopo quel memorabile battesimo mi sono associato al CASBA (Centro de Actividades Subacuáticas Buenos Aires), e ho continuato la mia formazione con corsi e viaggi in Patagonia.

(…) Nell’ottobre 1974, con alcuni dei miei amici del CASBA e con persone provenienti da ASES, andai a Puerto Madryn per affrontare l’esame teorico-pratico. Fu il grande “PINO” Nicoletti a officiare come capo della Commissione esaminatrice e che firmò, con mio grande orgoglio, il mio nuovissimo titolo di Istruttore nazionale d’immersioni subacquee. Qualche anno dopo mi sposai e diventai un subacqueo professionista.

Pesca delle cozze a Ushuaia

Vissi per un po’ in Venezuela, ma nel 1976 mi trasferii a Ushuaia. Ho fatto di questo il mio modo di vivere e della foto subacquea la mia passione. Leon Gieco ha scritto: “La vita è composta da cerchi aperti che, ad un certo momento, si chiudono e si completano”. Uno dei miei cerchi si è aperto quando l’insegnante di geografia ci ha fatto leggere “Il Living Sea” di Cousteau, e si è chiuso quasi completamente quando a dicembre del 1985 sono stato guida subacquea di Jacques Cousteau sulla sua allora nuova nave “Alcyone”, nel Canale Beagle. Erano passati 20 anni da quella lettura che mi aveva “illuminato”. E quando ho incontrato il “vecchio” Costeau avrei dovuto rimproverarlo, perché non ha voluto farsi fotografare con me. Non sapevo che fosse ciò che Cousteau odiava di più… Avrei voluto mostrarla ai miei nipoti, ecco perché quel cerchio non si è chiuso del tutto. Ma altri “cerchi” si apriranno e tanti altri sono da chiudere, se il “barbuto” lassù vorrà.

Hector sull’Alcyone di J. Costeau – 1985

Dal 1976 Hector ha lavorato per 15 anni come pescatore di cozze e granchi nel Canal Beagle, scoprendo così una grande varietà di fondali che lo ha portato a raccogliere informazioni e studiare la fauna locale. La sua innata curiosità, insieme alla conoscenza di amici biologi e naturalisti lo hanno portato a diventare un fotografo subacqueo professionista di successo. Ha collaborato come guida subacquea con diversi canali televisivi internazionali (NDR, ZDF, Von Reisen, TV Tokyo, TVF e M6, Natural History museum, National Geographic e Discovery channel). Premiato nel 1995 dall’INCAA (Istituto nazionale di cinema e arte visuale Argentina) per la produzione del video documentario “Nuestra Argentina submarina”, diffuso dalla TV educativa iberoamericana. Nel 2008, assieme al biologo Pablo Enrique Penchaszadeh, ha pubblicato il primo libro di fotografia subacquea scientifica dell’Argentina: “Patagonia Submarina”.

Hector ha scoperto i resti della nave Monte Cervantes, un’imbarcazione di 160 metri che faceva la rotta Buenos Aires – Puerto Madryn (Chubut) – Punta Arenas (Chile) –  Ushuaia – Buenos Aires, battente bandiera tedesca, scomparsa nel 1930 con a bordo 1200 passeggeri. Allo stesso modo, ha ritrovato alla profondità di 30 metri i resti dell’aereo  “pájaro naranja”, un aereo del governo fueguino che nel 1984 ebbe un incidente mentre trasportava il governatore Ramón Alberto, sua moglie e 10 collaboratori. Le sue produzioni sono utilizzate dagli educatori di tutto il paese e come materiali di divulgazione scientifica.

Oggi potete trovare Hector e Mariano a Ushuaia, dove possiede una microimpresa familiare dedicata al “turismo di avventura” che si è data il nome di “Tres Marías”, da una barca di 9 metri che è stata pioniera a Ushuaia, 21 anni fa. La Tres Marias naviga ancora, ma a lei si sono aggiunte la barca a vela “If”, una bellissima barca di costruzione francese di 14 metri, e il lussuoso yacht “SeaGold” di 13,8 metri. (https://www.tresmariasweb.com).

Non posso concludere questo omaggio a un uomo straordinario senza mostrare il motivo della sua visita al mio laboratorio. Hector ha finito la nostra pipa a Ushuaia e, obiettivamente, bisogna dire che il risultato è davvero modesto. Ma questo è uno di quei casi in cui non importa il risultato ma la strada che si è fatta per raggiungerlo.

Grazie Hector, grazie Mariano. Ci vediamo a Ushuaia.

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