IL CIOCCO DI RADICA: INUSUALI APPROFONDIMENTI

Almeno una volta nella vita, pipemakers e fumatori di pipa si sono trovati a cercare informazioni in rete sull’Erica arborea.

Chi non l’ha mai fatto è perché crede di saperne abbastanza, vuoi per la sua lunga attività nel settore, vuoi perché segantino da generazioni. Eppure, la miriade di foto, video e articoli disponibili non sono mai esaustivi e, a volte, addirittura fuorvianti.

Credo sia ora di aggiungere alcune precisazioni a ciò che già si trova in rete, e per fare ciò devo rispolverare la mia laurea in scienze agrarie evitando accuratamente i soliti dati sulla distribuzione geografica della specie, sulle caratteristiche botaniche o sulla preparazione del ciocco. Piuttosto, approfondirò alcuni aspetti che, secondo me, possono fare luce su alcuni equivoci. Vediamoli:

Davvero l’erica ha il maschio e la femmina?

Il ciocco fa parte del fusto o della radice?

Quale funzione ha il ciocco per la pianta?

Che cosa sono esattamente le fiamme e gli occhi di pernice?

Perché è così raro trovare abbozzi esenti da difetti?

Riguardo al primo punto, nel mondo della pipa è normale sentir parlare di erica maschio, ed erica femmina. La confusione insorge quando qualche curioso decide di chiedere, a un ritenuto esperto, qual è la differenza tra le due e se si usano entrambi per fare pipe.

Intanto è bene chiarire che L’Erica arborea non ha una differenziazione sessuale: i suoi fiori cioè sono ermafroditi, perché possiedono organi di riproduzione sia maschili che femminili nella stessa pianta.

fiori di erica

Tuttavia, la convinzione popolare di ritenere alcune piante come “maschio” o “femmina” è piuttosto diffusa e spesso, come in questo caso, errata. Essa si basa sulla necessità di distinguere, a scopo puramente utilitaristico e all’interno di una stessa specie, le piante migliori dalle peggiori, senza nessun reale riferimento alla sua effettiva identità sessuale.

Ora, dato che le convinzioni popolari sono dettate dalla cultura dei diversi territori e dalla trasmissione orale delle conoscenze, ne emerge che a ogni territorio corrisponderà una diversa interpretazione del concetto di erica maschio e femmina, e su quale delle due sia migliore per la produzione di pipe.

I pochissimi studi scientifici sull’erica che accennano alla distinzione tra “maschio” e “femmina” partono dalle definizioni territoriali. Vediamo, di seguito, i due esempi più illustri.

 Dalla monografia di Raffaele Cormio, pubblicata nel 1943 dalla rivista “L’ingegnere”.

(…) L’Erica arboreaL. viene volgarmente designata anche col nome di scopa maschio, per distinguerla dall’Erica scopariaL., detta scopa femmina. Questa denominazione non va però presa in senso assoluto, giacché tanto l’una che l’altra sono specie a fiori ermafroditi. La designazione di maschio e femmina è stata adottata, molto probabilmente, per indicare le diverse qualità di ciocco che forniscono le due specie; quello del maschio, di dimensioni maggiori, più compatto e più colorato è, infatti, il solo che serve per la fabbricazione delle pipe, mentre quello della femmina, più piccolo, in quanto si tratta di un arbusto di più modeste dimensioni (1 metro al massimo) non viene accettato per tale uso (…)

 Dalla monografia di Daniel Alexandrian, pubblicata nel 1982 sulla rivista “Forêt méditerranéenne”.

(…) Eccezionalmente, il ciocco non appare o si evolve male. I lavoratori che raccolgono i ceppi a volte distinguono i ceppi “maschili” dai ceppi “femminili”. Questa differenza di forma corrisponde a diverse provenienze o qualità tecnologiche, in quanto solo le varietà “femminili” sono interessanti. (I cioccaioli) Sono anche in grado di apprezzare “in piedi” il valore del ceppo prima dell’estrazione. I criteri soggettivi di discriminazione acquisiti attraverso l’osservazione potrebbero essere confermati e specificati con uno studio sul campo. (Essi) Hanno reso possibile elaborare il profilo standard di un’erica sfruttabile e un’erica non utilizzabile. Diversi fattori ecologici influenzano lo sviluppo dei ceppi di erica. I più importanti sono: il pH, la natura dell’humus, la consistenza e profondità del suolo, l’altitudine e l’esposizione del luogo (clima) (…)

 Ecco, secondo Alexandrien, come è possibile rappresentare graficamente la differenza tra “male” e “femell”:

immagine maschio femmina

D’altra parte, parlando con alcuni segantini italiani ancora attivi, vengono fuori ancora altre tesi. Eccone solo alcune delle più ricorrenti:

Il maschio ha le foglie rivolte verso il basso, la femmina verso l’alto. Il ciocco migliore è quello della femmina;

Il maschio ha un solo fusto, la femmina diversi di più. Il ciocco migliore lo da il maschio;

La femmina non fa il ciocco, il maschio si;

Il maschio è alto, la femmina è bassa e cespugliosa. Il ciocco migliore lo fa il maschio;

Ecc…

Chi ha torto e chi ha ragione?

Una volta stabilito che non esiste una differenziazione sessuale botanica, direi tutti, perché ogni territorio ha trovato il suo modo di distinguere la pianta con un buon ciocco, da quella senza o con un cattivo ciocco.

Ma il ciocco fa parte del fusto o della radice? E qual è la sua funzione per la pianta?

Il “ciocco”, rugosa palla irregolare così particolare, pur trovandosi sotto il livello del terreno, è parte del tronco e non delle radici. Esso, considerato da alcuni come una manifestazione tumorale della pianta alle aggressioni di funghi e insetti, in realtà è una forma di adattamento e specializzazione della pianta ai terreni nei quali cresce, ricchi di molecole complesse, di minerali come silicio e ferro, ma poveri di sostanze nutritive, ed ha la funzione specifica di fare da filtro (esattamente come un rene) lasciando passare solo ciò che la pianta è in grado di utilizzare per la sua nutrizione.

Per capire meglio il concetto, immaginiamo di poter seguire il percorso degli elementi del terreno dalle radici alla chioma:

Gli elementi vengono a contatto con le radici filiformi che si dipartono dal ciocco;

Alcuni microscopici funghi (ascomiceti) vivono avvolti a gomitolo dentro le cellule delle radici. Essi sono in grado di demolire le molecole complesse presenti nel suolo, trasferendone i componenti utili, attraverso il ciocco, alla pianta;

Nel frattempo, gran parte del silicio e del ferro vengono trattenuti dal ciocco.

Come sappiamo, è proprio la presenza di un così alto contenuto in minerali che conferisce al ciocco una notevole resistenza al calore, caratteristica per la quale lo si è scelto come materiale d’eccellenza per la costruzione di pipe.

Cosa sono esattamente le fiamme e gli “occhi di pernice”?

Il ciocco ha una struttura sferica dal cui centro, praticamente la base del fusto, si dipartono a raggiera innumerevoli tubuli. Questi sono i vasi che permettono la traslocazione degli elementi nutritivi dalle radici al fusto. Così, quando tagliamo il ciocco trasversalmente ai tubuli noteremo una gran quantità di piccoli cerchi, i cosiddetti “occhi di pernice”, che non sono altro che la sezione visibile dei tubuli. Se invece tagliamo longitudinalmente ai tubuli, noteremo la sezione assiale degli stessi tubuli, le così dette “fiamme”.

Fiamme e occhi di pernice

Ma perché è così difficile trovare abbozzi esenti da imperfezioni?

Qualunque segantino vi dirà che le percentuali di scarto sono notevoli e che possono variare per diverse ragioni. Comunque, una media plausibile di scarto si colloca intorno al 70%. Vuol dire che su 100 Kg di ciocco si possono salvare in media 30 Kg di pezzi di abbozzi, pronti per la bollitura.

Perché questa quantità enorme di scarto?

Il ciocco cresce espandendosi nel terreno dal suo centro verso l’esterno, proprio come fa un palloncino quando viene gonfiato.

Cambio

Nella foto, la zona segnata in verde indica l’area occupata dal cosiddetto “cambio” (tessuto embrionale da cui si avvia l’aumento in diametro del fusto), da cui parte l’accrescimento verso l’esterno.

L’immagine mostra la situazione a diverse decine di anni dalla germinazione della pianta. In origine, quando il seme ha cominciato a produrre la pianta, il cambio si trovava in corrispondenza del centro di quello che sarebbe diventato il ciocco. Man mano che il legno si è disteso nelle tre dimensioni fino ad assumere la forma sferica, il legno vecchio è rimasto lì dove si era formato, mentre quello nuovo continua ad essere prodotto verso l’esterno (in particolare, quest’immagine mostra un ciocco di grandi dimensioni, fortemente compromesso al cuore e con una colorazione rossastra intensa, probabilmente dovuta ad una forte presenza di ferro nel terreno).

Durante il lentissimo accrescimento, il ciocco ingloba sassolini, aria, terra e cenere proveniente da vecchi incendi, che vanno a costituire le cosiddette tare (nota per chi non lo sapesse: l’Erica a.resiste al passaggio del fuoco, rigenerandosi per polloni).

Per riprendere l’esempio iniziale, alla fine, dei 30 Kg (media) di abbozzi salvatisi dallo scarto, il 95% presenterà tare più o meno gravi che determineranno, da parte del pipemaker, la scelta dello forma e della finitura. Quest’ultimo sa bene cosa significhi lavorare qualche ora su un abbozzo promettente che poi, al momento di completare la forma, rivela uno o più difetti insanabili, come fessurazioni o granuli di diversa natura.

Beato, quindi, colui che becca il rimanente 5%, poiché la fortuna gli ha concesso di tenere tra le mani un piccolo gioiello su cui, comunque, ha dovuto investire parecchio denaro.

Spero che l’approfondimento sia stato utile.

Tutte le foto sono state prelevate dalla rete e, quando necessario, da me rielaborate. Qualora avessi inconsapevolmente violato immagini coperte da Copyright, vi prego contattarmi.

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